La Villa di Nerone, fascino storico-culturale di una area da rivalutare

La suggestiva Villa di Nerone venne riaperta al  pubblico nell’agosto del 2016.

Il risultato fu raggiunto stato possibile grazie ad una fruttuosa collaborazione tra la nuova Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio  per l’Area Metropolitana di Roma, la Provincia di Viterbo e l’Etruria Meridionale.

Il progetto di rilancio del sito non si ferma qui. Il Comune di Subiaco ha infatti richiesto di inserire la Villa nella programmazione triennale della Soprintendenza per attirare risorse al fine di rendere fruibile il Nucleo D del complesso Neroniano, che si trova dall’altro lato del fiume, esattamente di fronte all’area che sarà oggetto di apertura.

Il Gruppo Archeologico Aniensis ebbe poi ad iniziare una attività volontariato per interventi di bonifica.

La Villa di Nerone è una location culturale di grande interesse storico.

La galleria fotografica può essere visualizzata sulla pagina facebook di Sguardo Al Futuro

Edificata prima del 60 d.C – secondo quanto riportato da una ricerca accurata della Soprintendenza archeologica e belle arti della Città Metropolitana di Roma –  tra i monti Simbruini, pendant di quella marittima di Anzio, era costituita di almeno cinque nuclei, situati lungo la stretta gola del fiume Aniene, il quale venne sbarrato con dighe a formare i Simbruina stagna, citati dagli autori antichi (Tacito, Plinio, Frontino) per la loro amenità e profondità. Il più grande lago superiore fu utilizzato in seguito da Traiano come bacino per la nuova captazione dell’acquedotto Anio novus, che nasceva più a valle. Per la sua singolarissima articolazione, definita “a festone”, lontana dal rigido schema a “palazzo”, il Sublaqueum (questo è il nome tramandato da Tacito) anticipò la Domus Aurea, costruita dopo l’incendio del 64 d.C. dagli architetti Severo e Celere, che potrebbero aver ideato anche la villa sublacense.

In particolare il Nucleo A, letteralmente incassato in un profondo taglio nella roccia calcarea utilizzato anche come cava (fig. 2), si compone di circa venti ambienti a destinazione termale (tra cui un ninfeo absidato) e probabilmente residenziale, di una cisterna e di una vasca ellittica per allevamento di pesci (fig. 3). Durante gli ultimi scavi (1994-99), che hanno completato quelli del 1883, sono stati rinvenuti sotto il ninfeo absidato i resti di un altro ninfeo, anch’esso di età neroniana, distrutto forse per cause naturali, che aveva la volta a botte rivestita di concrezioni calcaree con inseriti medaglioni musivi (decorazione ricomposta all’interno del Museo Ceselli nel Monastero di S. Scolastica). È stato inoltre documentato il riuso agli inizi del VI secolo, per opera di Benedetto (futuro Santo e Patrono d’Europa), di alcuni ambienti per la fondazione del protocenobio di S. Clemente.

L’intervento della Soprintendenza ha riguardato soprattutto il consolidamento degli ambienti vicino all’ingresso (fig. 4), i quali, a causa del gelo e delle intemperie, presentavano il rivestimento in opus mixtum distaccato o caduto a terra e il moderno “bauletto” a protezione delle superfici piane disgregato e lesionato. Riutilizzando gli stessi elementi in calcare concrezionato (c.d. “cardellino”), sono stati restaurati i vani innalzati su ‘casse murarie’ (riempite in antico di pietrisco, ma svuotate durante gli scavi ottocenteschi; fig. 5) presso l’unica arcata superstite dell’ardito ponte (fig. 6), il “pons mire magnitudinis” (Chronicon Sublacense) ancora esistente nel 1369, che, scavalcando il lago superiore, collegava la costruzione a quella sul versante opposto dell’Aniene. La manutenzione si è estesa anche agli ambienti riutilizzati come cucina del protocenobio (fig. 7).

Rispetto ai lavori recentemente eseguiti, cui ha contribuito anche il Comune di Subiaco con il ripristino dell’ottocentesco muro di cinta (v. fig. 4), ben altro impegno economico richiede l’ambizioso progetto di collegare con un ponte pedonale i Nuclei A e D, riproducendo così la situazione antica che vedeva i due settori uniti da un ponte aereo o sovrapposto a una delle tre dighe. Il famoso archeologo Rodolfo Lanciani, che presenziò agli scavi di fine Ottocento, disegnò i piedritti di otto arcate, successivamente abbattuti per aprire la nuova strada diretta a Jenne. Tuttavia l’aggancio del ponte, fondato su celle voltate, si protende ancora oggi dal ciglio roccioso sul baratro dell’Aniene. La riproposizione del ponte dovrebbe prevedere anche il recupero del Nucleo D (attualmente inaccessibile), un padiglione residenziale estivo su due livelli comprendente un’esedra-ninfeo fiancheggiata da vani voltati e ambienti scoperti nel 1957. L’acceso al Nucleo D dal livello superiore, costeggiando l’area dell’ippodromo-giardino in loc. Pianello (c.d. Nucleo C), sarebbe panoramicamente molto suggestivo, ma soltanto il ripristino del collegamento fra i due Nuclei consentirebbe di provare la meraviglia sperimentata nella villa dagli ospiti dell’imperatore “bramoso di cose impossibili” (incredibilium cupitor, Tac., Ann. XV, 42, 2).

 

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